Il Sellaio

Serafini Pelletteria

Roma Since 1948

Serafini il sellaio dei Kennedy

2 Mar 2010 | Rassegna Stampa

FERRUCCIO Serafini ( foto) scoprì la magia della lavorazione del cuoio a 9 anni, una mattina che la scuola rimase chiusa perché i sotterranei servivano da rifugio per i bombardamenti. Il padre lo portò con sé in laboratorio a via Minghetti di fronte al Quirino, «dove ora c’ è la Telecom». Fu una folgorazione: «Tutto mi sembrò stupendo, le grandi pezze di cuoio che papà tagliava, cuciva, dipingeva, le borchie dorate, le selle finite lucidissime. Faceva selle ma anche paramenti e briglie per le carrozzelle romane». Appena finita la guerra, Ferruccio, che ha compiuto proprio ieri 77 anni, cominciò a lavorare a fianco del padre. Non ha più smesso, con lo stesso amore, la stessa passione. «Il negozio si chiamava Reina. Mi ricordo quando ci fu l’ attentato a Togliatti, il direttore venne tutto concitato gridando “Andate a casa”. Nel ‘ 58 chiuse e ci trasferimmo da Franceschini in via Condotti. Nel ‘ 60 chiuse anche lui e così aprii questo mio laboratorio». (dalla prima di economia) ÈSABATO pomeriggio. Via Cola di Rienzo con i suoi clakson e i marciapiedi dove non si riesce neanche a camminare, è a pochi metri. Ma qui, in via Caio Mario, sembra un altro mondo. Nessun cliente che entri nel corso di uno shopping frenetico, silenzio, inevitabile una profonda tristezza: «Con me questa ditta si esaurirà. Io non capisco proprio la gente. Guardi questa borsona di cuoio: la bellezza della pelle, l’ accuratezza delle finiture, le fibbia, il manico di vera suola. La vendo a 400 euro: meno della metà di una borsa assolutamente equivalente che però ha una griffe qualsiasi. Eppure si preferisce quella griffata. Ma non c’ era la crisi?». Per anni Sabatini ha lavorato da terzista per marchi celebri, da Valentinoa Ritz Saddler, poii committenti si sono evaporati. «Quando cominciai a Roma c’ erano 250 sellai. Oggi siamo rimasti in due o tre. Non c’ è più spazio per i piccoli artigiani. In tutti questi anni ho “allevato” più di duecento giovani apprendisti, ora è tutto finito. Non c’ è più nessuno. Non si vendono più le borse fatte a mano e neanche le scarpe. Vede questi mocassini? Li vendetti a Marlon Brando che entrò qui mentre girava Il Padrino a Cinecittà nel 1971, e ho continuato a spedirgliene a decine fino alla sua scomparsa nel 2004. Ma di clienti celebri ne ho avuti tanti, principesse, registi famosi. Una volta la contessa Odescalchi mi portò John Kennedy, gli piacquero tanto le mie scarpe che le consigliò anche al fratello Bob». E il business originario delle selle? «Lo sa che proprio lì c’ è un minimo di risveglio? Qualcuno ricomincia ad andare a cavallo. Ma capirà, non ci si vive». Estrae un rotolone di cuoio: «Lo compro nelle concerie Santa Croce di Firenze, le più prestigiose. Questo è il fiore della pelle, sotto sull’ animale rimane un altro strato meno pregiato cheè quello che spesso trovate in commercio, magari con gli stampi finto-coccordillo. Lo coloro con anilina e alcol, più l’ anilina è concentrata più il colore risulta carico». Non è tossica? «Macché, per me è ossigeno». Ma i suoi figli? «Ah, loro fanno tutt’ altro. Francesca, la più piccola che ha 38 anni, è impiegata come Lucilla, che è laureata in filosofia maè stata costretta dalla vita a occuparsi di numeri e di dichiarazioni dei redditi. Marco è biologo, ha anche lavorato ai Ris del Carabinieri». I suoi quattro fratelli hanno anche loro seguito altre vie fin dall’ inizio («oggi hanno la pensione, beati loro»). Insomma, «sono rimasto qui da solo». Solo? Veramente in un angolo c’ è un articolo nientemeno che del New York Times intitolato The apprentice con una foto di una bella ragazza con una cascata di capelli che lavora il cuoio vis-a-vis con Ferruccio. E questa chi è? «Beh, è un’ americana di San Francisco che si era stancata di fare la dirigente d’ azienda. Si chiama Era Balestrieri, i nonni venivano dalla Sicilia. Un bel giorno me la sono vista arrivare qui, diceva di voler imparare il mestiere. Le ho detto subito che non potevo assumere nessuno, ma lei si è messa lo stesso prima a guardarmi e poi a lavorare. Ogni tanto vende una borsa e le lascio il guadagno». Serafini, in confidenza, ma sua moglie non dice niente che lei trascorre le sue giornate con questa stangona californiana? Scoppia a ridere: «Macché, alla mia età…» Al colloquio assiste un suo amico affettuoso e bonario, che gli ha portato una torta per il compleanno. Rompe il silenzio solo in quest’ occasione: «Je dice, je dice…» © RIPRODUZIONE RISERVATA

EUGENIO OCCORSIO