L’ODORE del cuoio si mischia a quello dell’anilina e ai ricordi in questa bottega in via Caio Mario, a due passi da via Cola di Rienzo. Dove il tempo sembra essersi fermato a cinquant’anni fa, quando Ferruccio Serafini decise che lì avrebbe creato il suo regno.
Un regno fatto di grandi pezze di pelle che arrivano dalle concerie di Santa Croce di Firenze. E da borchie, fibbiee modelli di borse in cartone, accatastati alle pareti. Ferruccio il sellaio, classe 1933, ha imparato da ragazzino il mestiere dal padre, che aveva un laboratorio in via Minghetti, di fronte al Quirino. «All’epoca facevamo i finimenti per le botticelle – racconta – : selle, briglie sottopancia. Poi tutto è cambiato…». Quando il padre chiuse, Ferruccio andò a lavorare “sotto padrone” «Passai un sabato mattina per piazza di Spagna e vidi un cartello sulla vetrina di una pelletteria: “Cercasi artigiano”. Il lunedì ero già lì. Alla prima prova di cucito fui assunto. Rimasero sorpresi dalla mia precisione e dalla velocità».
Negli anni Sessanta, però, Serafini si mette in proprio. Apre la sua bottega in Prati e comincia a creare borse a secchiello. Lavora in esclusiva per alcune case famose: Valentino e Saddler. Sono anni di grandi soddisfazioni: nella bottega di via Caio Mario 14 si affacciano principi e star di Hollywood, come i fratelli Johne Bob Kennedy innamorati dei suoi mocassini fatti a mano. «Li portò al negozio la principessa Odescalchi. Prima uno e poi l’altro». Ma le scarpe di Ferruccio incantano anche Marlon Brando quando negli anni Settanta è a Roma per presentare il “Padrino”. «Li volle di tutti i colori – ricorda l’artigiano – In una botta sola ne comprò dieci paia. E finché non è morto, ogni anno, gliene ho spedite un paio negli Stati Uniti». Sorride Serafini quando racconta di Nannarella, che dopo aver acquistato una borsa in camoscio (all’epoca considerato materiale poco pregiato) gliela tirò addosso. «Vede quei gradini? – fa indicando l’entrata del negozio – Anna Magnani tornò a bottega qualche giorno dopo e neanche scese le scale: prese la tracolla e la lanciò sul bancone. «A Ferru’ – mi disse – ma questa te pare ‘na borsa?».
Negli anni Ottanta fu il cavalier Silvio Berlusconi, presidente di Fininvest, ad affacciarsi al laboratorio. Anche allora arrivò in compagnia di due gran belle ragazze. «A una regalò una tracolla di cuoio dalle sfumature rosse – spiega il sellaio – Che però, non si intonava con le décolleté indossate al momento dalla giovane». Così, Berlusconi si infilò i guanti, si sedette sullo sgabello e giù a lucidare le scarpe con l’anilina per farle virare verso il bordeaux. Bei tempi. «Ora tutto è cambiato – sospira Ferruccio – Le vendite sono diminuite: prima c’era la fila per comprare le mie “Giunzi”. Indossate con il Loden erano bellissime. Ora, la gente dice di non avere soldi, ma poi è disposta a tirar fuori più di mille euro per un “bauletto” firmato. E fa invece un sacco di storie quando io, per una borsa, ne chiedo quattrocento». Si sfoga: «Ma volete considerare il tempo che impiego? Due giorni per una sola borsa. E la materia prima? Solo il fiore della pelle». Ma la bottega del sellaio non chiuderà. Da un anno, accanto a Ferruccio, è arrivata la figlia Francesca. Ha detto addio a una multinazionale che voleva trasferirla lontano da Roma. «Mi diverte soprattutto fare le riparazioni – spiega la ragazza – che con la crisi sono in aumento». E fa progetti Francesca: «Quest’estate ripulirò il laboratorio. Saranno 30 anni che papà non ci mette mano». Ferruccio la guarda con soddisfazione. Poi, con la flemma dei suoi anni, si risiede davanti alla “scarnitrice” per assottigliare il pellame. «Scusate, ho una consegna, e ho ancora tanto da fare».
ALESSANDRA PAOLINI
